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Federico Cerrone

L'ospite in Capo Verde

Dopo 40 anni di vita in Capoverde, vorrei parlarvi dell'ospitalità del capoverdiano.

Per quanto paia strano a noi europei, qui lo strano è non salutare lo sconosciuto che incontri per strada. Essere ospitali vuol dire non essere diffidenti verso lo sconosciuto che batte alla porta, e quindi lasciare la porta aperta o socchiusa, entrare in casa invece di fermarsi sulla porta quando visiti o vuoi salutare qualcuno.

Il capoverdiano estende il buon tratto anche agli animali domestici, per cui si accusa come di una colpa quando batte o ferisce senza motivo una capra, un cane o un gatto.

E' pure un'espressione di ospitalità, cioè di apertura e di amicizia, il prendere la benedizione di un anziano. Il bambino, nell'educazione tradizionale, è educato, in segno di rispetto e di deferenza, nell'incontro con un parente o con una persona adulta, a chiedere la benedizione.

Anche la formalità con cui è chiesta e data la benedizione è degna di nota. L'inferiore o chi chiede la benedizione prende la mano del partner e la porta fino a toccare la sua fronte dicendo: "Dammi la tua benedizione". Quindi il partner risponde con una frase di buon augurio, secondo le circostanze. Per esempio: "Dio ti dia salute!" o "Dio ti accompagni!".

Questa attitudine di trattare amichevolmente l'ospite credo che stia alla radice di quella di non dire mai di no, o almeno di rifugiarsi dietro una bugia benevola, o, quando si tratta di una data per consegnare un lavoro o di un servizio da eseguire, promettere con il tradizionale "domani". Un più franco sì o no o una data precisa suona come un inganno o un tratto brusco.

Quando un bambino rimane orfano di padre o di madre, non manca mai l'uomo o la donna che gli trova un posto in mezzo ai suoi figli dicendo: "Dio che ha dato bocca (all'ultimo venuto) gli darà anche il boccone (la sua razione)".

Questo atteggiamento ospitale e benevolo è quanto mai utile per colorire e rasserenare la convivenza umana, spesso tesa e irta di tensioni.





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