Chi
sono io? Spesso mi dicono
che esco dalla mia cella
disteso, lieto e risoluto
come un signore dal suo castello.
Chi sono io? Spesso mi dicono
che parlo alle guardie
con libertà, affabilitrà e chiarezza
come spettasse a me di comandare.
Chi sono io? Anche mi dicono
che sopporto i giorni del dolore
imperturbabile, sorridente e fiero
come chi è avvezzo alla vittoria.
Sono io veramente ciò
che gli altri dicono di me?
O sono soltanto quale io mi conosco?
Inquieto, pieno di nostalgia, malato
come un uccello in gabbia, bramoso di aria
come mi strangolassero alla gola,
affamato di colori, di fiori, di voci di uccelli,
assetato di parole buone, di compagnia,
tremante di collera davanti all’arbitrio e all’offesa
più meschina,
agitato per l’attesa di grandi cose,
preoccupato e impotente
per l’amico infinitamente lontano,
stanco e vuoto nel pregare, nel pensare,
nel creare, spossato e pronto
a prendere congedo da ogni cosa?
Chi sono io? Sono questo o sono quello?
Oggi sono uno, domani un altro?
Sono tutt’e due insieme?
Davanti agli uomini un simulatore
e davanti a me uno spregevole vigliacco?
Chi sono io?
Questo porre domande da soli è derisione.
Chiunque io sia, tu mi conosci, o Dio,
io sono tuo.
Dietrich Bonhoeffer,
(nato a Breslavia il 4 febbraio 1906,
impiccato il 9 aprile 1945,
nel campo di concentramento di Flossemburg)